stavolta vi "ammannisco", per quelli di voi che coltivano l'arte della pazienza, un mio piccolo - si fa per dire - saggio che fu pubblicato su Ol3media l'anno scorso. Può sembrare di no, ma vi assicuro che parla anche di telefilm. Lo divido in due parti, per il vostro bene! Ecco a voi quindi la prima puntata. Fatemi sapere, siate buoni, se siete d'accordo con le mie tesi o se pensate tutto il contrario, e perché. Questa possibilità di scambio è troppo preziosa per me!
holoband in Caprica |
DAL
FUMETTO ALLA TELEVISIONE
C'era
una volta il fumetto...
Detto
questo, forse sarebbe il caso di sorvolare in questa sede sulla
controversa separazione fra letteratura alta e letteratura popolare;
eppure c'è una definizione di “fumetto” che si presta a qualche
riflessione utile a questo proposito, quella di Scott McCloud, autore
del volume Capire il
Fumetto - L'arte invisibile, saggio scientifico sul fumetto1
realizzato interamente a fumetti: «Immagini e altre figure
giustapposte in una deliberata sequenza, con lo scopo di comunicare
informazioni e/o produrre una reazione estetica nel lettore».
Leggendo questa definizione può venire anche in mente un'altra
sequenza di immagini, ben più antica e su un supporto decisamente
più solido, cioè la storia di San Francesco narrata dagli affreschi
di Giotto sui muri della Basilica di Assisi; o, se è per questo,
molti altri cicli pittorici e scultorei di tutta l'antichità e del
Medioevo che avevano lo scopo di raccontare storie importanti per
qualche ragione a persone che potevano anche non saper leggere.
E
allora sì, letteratura popolare. E già che ci siamo, cosa ci
impedisce di scomodare, con voluta impertinenza, altre manifestazioni
artistiche basilari della storia della civiltà occidentale, come il
teatro greco, che, prima di diventare letteratura, aveva lo scopo
molto concreto di canalizzare messaggi densi di intenti didascalici
ai cittadini delle poleis per portarli al pensiero del ceto
dirigente, che quegli spettacoli anche a questo fine finanziava?2
Prima che il messaggio, per l'incisività del contenuto e per la
bellezza della forma, diventi arte e letteratura, c'è una necessità
di comunicazione che usa la scrittura e/o l'immagine per giungere ai
destinatari. La semplicità o la complessità del messaggio attengono
a un'altra storia che non può essere trattata qui; ma dissertare di
cinema, di televisione e di fumetto implica in generale contenuti non
troppo elitari.
Letteratura
popolare?
Torniamo
dunque a parlare di letteratura popolare, intendendo ora, in questo
contesto, quella che, dopo la rivoluzione della stampa nel
Cinquecento e l'allargamento della borghesia, rispose al bisogno
immediato e apparentemente poco riflesso di tali classi genericamente
definite borghesi che, nel corso dell'Ottocento, maturarono un
bisogno di cultura immediatamente fruibile, che non si dovesse
insomma decodificare da strofe in endecasillabi. Ecco quindi che ci
troviamo, senza nemmeno accorgercene, a leggere, puntata dopo
puntata, le vicende dei nostri eroi preferiti nel nostro romanzo
d'appendice e poco importa a questo punto che sia Dostoevskij o Liala
che ci stregano dalla carta stampata della nostra rivista, a
guardarci la nostra bande
dessinée, o comics
o fumetto che dir si voglia, attendendo con ansia la prossima razione
settimanale. A questo punto della vicenda appassionante del nostro
congenito amore per le storie, non è troppo cambiato il nostro ruolo
di fruitori paganti: dovremmo retribuire l'aedo alla fine della sua
performance, acquistare il nostro libro, comprare la rivista che
vende pubblicità grazie alla nostra passione o corrispondere la
quota mensile dell'abbonamento a Sky o ad altri.
Le sfumature della
serialità
Soffermiamoci
allora sui legami che, traendo origine dalla serialità del
feuilleton, collegano il fumetto alla serie televisiva con fermate
intermedie e ricorrenti per il cinema.
Questo
il fenomeno in questione: la reciproca influenza che questi media
hanno esercitato ed esercitano gli uni sugli altri proprio sull'onda
delle mode cui noi lettori/spettatori diamo origine.
Qui
si vorrebbe avanzare alcune ipotesi a partire da alcuni casi
specifici che possono essere significativi di tale influenza.
Focalizziamo
la nostra attenzione sul fumetto: nato all'inizio dell'Ottocento,
soprattutto per una fascia adulta di lettori, trova nel Novecento la
sua vocazione: quella di narrare ad adolescenti, e a chi adolescente
non voleva smettere di sentirsi, avventure mirabolanti di eroi senza
macchia e senza paura che, soprattutto nel primo dopoguerra,
rispondevano al bisogno di rassicurazione delle masse. Capitan
America della Marvel, Superman della DC comics e via così. Le
avventure erano autoconclusive, nel senso che, rispondendo alle
elementari norme della narratologia, in base allo schema di Propp,
c'è un “equilibrio iniziale (inizio)”, una “rottura
dell'equilibrio iniziale (movente o complicazione), le “peripezie
dell'eroe”, e alla fine, il “ristabilimento dell'equilibrio
(conclusione)”. Sostanzialmente ci si immedesima nei problemi del
protagonista e quando lui, usando forze che pure noi vorremmo avere,
finalmente ne viene a capo, noi possiamo finalmente tirare quel
sospiro di sollievo che è il fine di tutto. Quindi fumetto vuol dire
genere di consumo, come un'aspirina che, senza tante storie, diagnosi
e complicazioni, ci fa passare il mal di testa quando ci viene.
Questo può essere sempre vero. Molti stimati professionisti che
conosco, che leggono Tex da anni e anni, vogliono questo e questo
ottengono. Oppure si può volere altro.
Dagli
anni '70 i fumetti hanno cominciato a cambiare. Accenno solo di
sfuggita a qualcosa che ha già fatto scrivere saggi in merito e che
altri ne necessiterebbe: la svolta che Chris Claremont nel 1975 diede
alla testata marveliana degli X-Men. I personaggi, nelle mani di
questo apprezzato autore, diventarono a tutto tondo, le loro storie
corali acquistarono un percorso diacronico intrecciandosi e toccando
livelli di approfondimento esistenziale che coinvolsero sempre più
una fascia giovanile più alta e più matura. Le trame dunque non si
svolsero più in una puntata, o in una manciata di puntate, ma si
dipanarono nel corso di anni, ottenendo l'effetto di fidelizzare un
gran numero di lettori. Il fumetto, per certi fenomeni e certe
testate, tornò agli adulti da cui parecchio tempo prima era partito.
Nello stesso tempo non mancava il villain di turno e la vicenda
dell'albo e quella del mese o dell'annata convivevano armonicamente.
Claremont lavorò con Dave
Cockrum e John Byrne e la “Saga di Fenice nera” è forse una
delle storie più celebrate della serie.
E
di serie appunto qui è il caso di parlare; al di là del fatto, noto
a tutti, che dalla Saga di fenice nera è stato tratto il film X-Men
- Conflitto finale (X-Men: The Last Stand) del 2006 diretto da Brett
Ratner. Il punto da focalizzare è proprio invece il fenomeno della
serialità.
Da
quel momento in poi i telefilm hanno cominciato a seguire la stessa
strada. Non più o non solo sit-comedy che lasciavano il protagonista
allo stesso punto da dove era stato preso. In precedenza i personaggi
rimanevano cristallizzati nei loro tratti fondamentali, fissi a volte
in una caratterizzazione da macchietta che garantiva allo spettatore
di trovare quello che si aspettava di trovare, senza complicazioni,
in modo rassicurante.
Morticia Addams3 riscuoteva l'effetto voluto, proprio nella sua placida coerenza al proprio sistema morale ed estetico alternativo, che, per la legge del contrario, suscitava ilarità. Non ci si aspettava che cambiasse. Un po' come una maschera del teatro dell'arte: non ci si può aspettare da Arlecchino niente al di là di quello che è solito dare. Eppure Goldoni nel Settecento di lì è partito per ampliare, approfondire e rendere più umani i personaggi. In modo similare la psicologia dei protagonisti e comprimari dei fumetti e poi delle serie ha cominciato ad acquistare rilievo e quindi profondità, soprattutto grazie alla possibilità del tempo lungo.
Morticia Addams3 riscuoteva l'effetto voluto, proprio nella sua placida coerenza al proprio sistema morale ed estetico alternativo, che, per la legge del contrario, suscitava ilarità. Non ci si aspettava che cambiasse. Un po' come una maschera del teatro dell'arte: non ci si può aspettare da Arlecchino niente al di là di quello che è solito dare. Eppure Goldoni nel Settecento di lì è partito per ampliare, approfondire e rendere più umani i personaggi. In modo similare la psicologia dei protagonisti e comprimari dei fumetti e poi delle serie ha cominciato ad acquistare rilievo e quindi profondità, soprattutto grazie alla possibilità del tempo lungo.
In
televisione quindi nel frattempo lo svolgimento seriale ha cominciato
a “schiavizzare” lo spettatore, ma a livelli diversi; è ovvio
che si può citare Beautiful, ma si può anche osannare gli X-Files
che, come sappiamo, hanno prodotto fan in ogni parte del mondo e
creato un nuovo modo di fare telefilm (come li chiamiamo in Italia).
Il fascino della storia risiedeva proprio nel fatto di poter
esplorare, lentamente e gradualmente, le profondità psicologiche del
personaggio, di poter scoprire, attraverso magari flashback, i motivi
reconditi dei suoi comportamenti, e soprattutto di poter assistere e
condividere i mutamenti e le evoluzioni della sua personalità, la
sua crescita umana. Il tempo lungo rendeva possibile ciò.
Che
si può aggiungere a quanto di autorevole è stato già detto? Nulla.
Si vuole solo umilmente sottolineare che l'evoluzione narrativa e la
crescita personale ed esistenziale di Shadowcat, adorabile
personaggio degli X-men, e la lenta mutazione di Scully, dall'inizio
alla fine delle nove annate di X-files da scettica scientista a
razionale credente (l'ossimoro è solo apparente), sono collegate, e
non solo dalla X.
I mutamenti, quelli che ci fanno soffrire nella realtà, mediante l'arte sapiente di una sceneggiatura autoriale, non lasciano i personaggi allo stesso punto di quando sono partiti.
I mutamenti, quelli che ci fanno soffrire nella realtà, mediante l'arte sapiente di una sceneggiatura autoriale, non lasciano i personaggi allo stesso punto di quando sono partiti.
Avventure a lungo termine
Nel
frattempo nel 1987, l'Uomo Ragno, nei fumetti, si è anche sposato,
dando addio per un po' all'eterna dinamica di fidanzamento perpetuo
stile Topolino e Minnie di molte coppie fisse della carta stampata e
della fiction televisiva. Non si cita a caso lui fra i supereroi,
infatti l'Uomo Ragno, nato intorno al 1962, raggiunge proprio dagli
anni Settanta la massima diffusione e sembra essere il primo
supereroe che interessa i lettori anche per le proprie vicende
familiari e personali, per l'intimo dissidio fra la vita normale del
timido Peter Parker e le avventure a difesa dell'umanità
dell'“amichevole Uomo Ragno di quartiere”. “Da un grande potere
derivano grandi responsabilità” e via con i dilemmi morali e i
problemi quotidiani che avvicinano l'eroe al lettore.
Nel
frattempo più o meno in quegli anni la serie Moonlighting
(1985-1989) vede Bruce Willis e Cybill Sheperd nei panni di due
improbabili detective porre fine alla UST “tensione sessuale irrisolta”
mettendosi insieme e dimostrando quanto proprio quella tensione
calamiti l'attenzione degli spettatori. Infatti gli ascolti della
serie calarono da quel momento. Da allora gli sceneggiatori delle
varie serie con coppie fra i protagonisti hanno dovuto cominciare a
fare i salti mortali per non far cadere gli ascolti, tipo le otto
stagioni prima che Moulder e Scully portassero a conclusione il
percorso di reciproco avvicinamento e riconoscessero
l'importanza sentimentale del loro rapporto nella serie scatenando
così il planetario sospiro di sollievo che ne è derivato.
Anche
recentemente i rapporti fra i protagonisti più che le trame
verticali del singolo episodio sono oggetto di gradimento da parte
degli spettatori, e non solo rapporti di coppia, ma le dinamiche fra
fratelli (Supernatural, The Vampire Diaries) o fra genitori e figli
(Fringe).
Tutti processi che hanno nella durata e nella lenta evoluzione il loro segreto e che consentono agli attori impegni e soddisfazioni professionali forse maggiori che nel passato, tanto che star del grande schermo approdano con soddisfazione alle serie. Gli sceneggiatori poi non sono più degli sconosciuti, noti solo agli addetti ai lavori, ma diventano famosi al grande pubblico, quelli almeno capaci di dare impronte originali e profonde ai personaggi, ai rapporti, alle trame, alle serie insomma, riconosciute a naso dai fan, che tributano onore al merito del tocco autoriale.
Tutti processi che hanno nella durata e nella lenta evoluzione il loro segreto e che consentono agli attori impegni e soddisfazioni professionali forse maggiori che nel passato, tanto che star del grande schermo approdano con soddisfazione alle serie. Gli sceneggiatori poi non sono più degli sconosciuti, noti solo agli addetti ai lavori, ma diventano famosi al grande pubblico, quelli almeno capaci di dare impronte originali e profonde ai personaggi, ai rapporti, alle trame, alle serie insomma, riconosciute a naso dai fan, che tributano onore al merito del tocco autoriale.
Romanzi
di formazione?
I
personaggi che amiamo e seguiamo puntata dopo puntata, anche più di
quelli che pur ci conquistano dalle trame necessariamente sincopate
dei film, che quindi subiscono perdite, sconvolgimenti emotivi, che
crescono, osano e si rifugiano nelle regressioni, e spesso,
contrariamente al passato, muoiono a volte, sono allora forse figli
dei romanzi di formazione, intendendo con questo termine però non
strettamente i romanzi tedeschi della fine del Settecento e inizio
Ottocento, ma tutte quelle storie che dall'Asino d'oro di Apuleio,
attraverso la maratona ultraterrena di Dante Alighieri4
fino alla Recherche e oltre ci hanno proposto percorsi di cambiamento
che potevamo scegliere di intraprendere o no. Liberi sempre. E
sempre, nella lettura, a vari livelli, in rapporto con l'altro, con
il personaggio preferito. L'autorialità e una progettazione di largo
respiro delle storie resa possibile dal tempo della serialità ha
spesso dato spazio agli autori per usare i propri vissuti culturali,
per osare mischiare generi e livelli con citazioni “colte” in
riferimento alla cultura più o meno popolare.
TV
colta o cult
TV
E
qui menzionare Joss Whedon è d'obbligo. Non solo per la densità di
tali riferimenti, ma anche per il percorso evolutivo della
personalità della famosa “cacciatrice di vampiri” e della sua
inusuale famiglia. Come esempio si può ricordare, fra numerosi
altri, l'episodio numero quattro della terza serie di Buffy the
Vampire Slayer (1997-2003) Beauty and the Beasts, quando ben tre dei
personaggi devono confrontarsi con la parte selvaggia di sé: Oz, che
tre giorni al mese con la luna piena diventa un licantropo, Angel
che, tornato dall'inferno, sembra aver perso la sua personalità
cedendo alla regredita ferocia di chi è stato costretto a subire
torture per tempo immemore, e Pete, compagno di scuola di Buffy e
company, che assume una mistura chimica nell'intento di divenire più
macho agli occhi di Debbie, la sua fidanzata. Tutti fronteggiano la
propria parte oscura e il riferimento, per l'ultimo personaggio
soprattutto, a “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”
di Robert Louis Stevenson è chiarissimo. Il contesto poi è ricco,
la tesi non è per così dire uni-lineare in quanto l'intento è
dimostrare come
- Oz il licantropo, il primo ad essere accusato delle uccisioni che mettono il gruppo in agitazione, è innocente: come a dire che la vicinanza alla propria parte ferina non è sempre un male,
- che Angel, quello apparentemente regredito allo stato bestiale, può riprendere coscienza di sé, infatti salva Buffy e la riconosce: come a dimostrare che l'amore può cambiarti in positivo, che è sempre una questione di libero arbitrio e che c'è sempre una speranza,
- e che, infine, Pete, lo studente che assumeva una pozione per potenziarsi ed essere più degno della sua ragazza, credeva di usare la scienza e di poter controllare la situazione e invece cade vittima della propria arroganza: proprio a confermare la lezione stevensoniana sulla ambivalenza fra la parte brutalmente istintiva e la parte morale e controllata dell'uomo e sulla ybris di chi usa la scienza senza rispettare i giusti limiti.
In un altro esempio
magistrale tratto sempre da Buffy, nella quarta stagione, in cui la
cacciatrice va all'università, le categorie freudiane di io, es
e super-io vengono citate e usate come chiave di lettura delle crisi
e dei percorsi dei personaggi.
Il modo come Joss Whedon ha
costruito il dipanarsi delle esistenze dei membri della Scooby Gang è
stato anche usato da terapeuti ed insegnanti per esemplificare i
passaggi dei momenti della crescita.
E infatti c'è chi è
cresciuto con Buffy e X-Files, mentre queste serie, in quanto pietre
miliari della storia della televisione, hanno cambiato la storia dei
telefilm, spingendo gli autori a concepire prodotti sempre più
intriganti e complessi.
Dalla fiction
televisiva alla fiction letteraria
Qualche parola deve
necessariamente essere spesa per ricordare anche come i tempi di
certe serie, stringati, ma ricchi di azione e di dinamiche narrative
complesse, abbiano influenzato una buona parte della letteratura
di genere, (e quindi alla lunga anche l'altra magari), lo confermano gli
scrittori di fantasy, di urban fantasy e di altri generi correlati5,
che affermano di tener presente proprio serie televisive come Buffy o
Supernatural nello scrivere i loro romanzi, apprendendo la lezione
dei tempi sincopati e dei dialoghi veloci dei telefilm, ma anche
dell'ironia fulminante e della capacità di sdrammatizzare dei nostri
eroi che sparano battute stendendo gli avversari con le loro mosse
letali estratte e miscelate da arti marziali varie. Ecco un altro
aspetto in cui Buffy e l'Uomo Ragno potrebbero risultare parenti (per
carità, nessun suggerimento ai fin troppo arditi sceneggiatori!). CONTINUA ...
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